La dottoressa aveva chiesto il rito abbreviato; era accusata di omicidio colposo in relazione al decesso di una bambina di 4 anni, morta per una otite degenerata in ascesso cerebrale
Morì ad appena 4 anni per una otite degenerata in ascesso cerebrale. In particolare, l’infiammazione all’orecchio avrebbe provocato alla piccola un’infezione e a nulla era valso un intervento per tentare di salvarle la vita. Nelle scorse ore il gip del tribunale di Brescia ha condannato a due anni per omicidio colposo la pediatra della vittima.
La tragica vicenda risale alla primavera del 2018. La Procura di Brescia lo scorso settembre aveva chiuso le indagini sul caso. Inizialmente erano stati iscritti nel registro degli indagati i nomi di 15 persone, tra medici e operatori sanitari che avevano avuto in cura, a vario titolo, la paziente nelle strutture sanitarie in cui era stata assistita. Per 14 di loro il Pubblico ministero titolare del fascicolo aveva chiesto l’archiviazione, ravvisando responsabilità solamente in capo alla pediatra della piccola.
Nelle conclusioni del magistrato inquirente si parlava di “uno sproporzionato ritardo diagnostico e terapeutico”, che avrebbe “abbattuto pesantemente le probabilità di sopravvivenza della bambina”. Più specificamente, in base alle consulenze degli esperti incaricati, la dottoressa “a fronte della persistente sintomatologia algica, per 10 giorni”, avrebbe dovuto “impostare una antibioticoterapia e richiedere una visita otorinolaringoiatrica”. A detta dei periti, come riportato nella loro relazione, “l’eventuale somministrazione per via orale di un comune antibatterico avrebbe implicato un repentino abbattimento della carica batterica e una ripresa clinica”.
La bambina, quando le sue condizioni erano ormai compromesse, era stata ricoverata prima a Manerbio, poi trasferita alla Poliambulanza e infine al Civile, dove tuttavia era deceduta nonostante nonostante i tentativi di salvarla con un’operazione chirurgica.
Secondo l’accusa, quindi, la pediatra, in qualità di medico curante, avrebbe omesso di “adottare le terapie e le prescrizioni che il caso avrebbe imposto, secondo le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non impedendo così l’aggravamento del processo patologico che ha condotto al decesso della paziente”. La dottoressa aveva chiesto e ottenuto di essere giudicata in abbreviato.
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