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Riconosciuti oltre due milioni di euro ai figli di una donna morta nel 2005 per una epatite contratta a seguito di trasfusione di sangue infetto nel 1976

Il Tribunale di Salerno ha condannato la Regione Campania e la Asl Napoli 5 a versare un risarcimento di oltre due milioni di euro agli eredi di una donna morta a causa di una epatite contratta a seguito di una trasfusione di sangue infetto. Citato in giudizio anche il Ministero della Salute, per il quale, tuttavia, il Giudice ha eccepito la sopraggiunta prescrizione.

La vicenda, come ricostruisce Agro24, ha inizio nel 1976, quando la paziente, all’epoca 28enne, venne sottoposta a una trasfusione poco dopo aver partorito. A distanza di anni, era risultata infetta dal virus dell’epatite C; la patologia si era poi aggravata in cirrosi epatica, fino a degenerare in un epatocarcinoma che nel 2005 ne aveva causato il decesso, all’età di 57 anni.

Alla donna era stata riconosciuto, quando era ancora in vita, l’indennizzo previsto dalla legge. Decisivo, in tal senso, il parere della Commissione medico ospedaliera di Caserta, che aveva accertato il nesso causale tra la trasfusione e la patologia, riconoscendo in tal modo, la colpa e negligenza alle autorità sanitarie, per non aver vigilato sulle corrette procedure previste già all’epoca, che prescrivevano la tracciabilità delle sacche di sangue trasfuse ai pazienti.

Nel 2012 i figli avevano avviato una causa civile per ottenere il ristoro dei danni patiti. Il Tribunale, nei giorni scorsi, ha accolto le pretese risarcitorie avanzate dagli attori disponendo in loro favore il pagamento di una somma che, rivalutata alla data di emissione della sentenza, supera i 2 milioni di euro. Come certificato dalla sentenza – riferisce ancora Agro24 – già nel 1976 la struttura sanitaria aveva l’obbligo di identificare il donatore e il centro trasfusionale di provenienza del sangue; circostanza, quest’ultima, che non sarebbe stata rispettata.

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