I Struttura Ospedaliera:
Il sig. DN. N. soffriva di arteriopatia obliterante degli arti inferiori con claudicatio intermittens in peggioramento, pertanto il 6 luglio 2012 veniva sottoposto ad Ecocolordoppler degli arti inferiori che rilevava l’ostruzione bilaterale delle femorali superficiali con riabitazione della poplitea e flusso sulle tibiali anteriori e posteriori demodulato. Dato il referto, l’11 luglio 2012 effettuava una visita specialistica di Chirurgia Vascolare nel corso della quale veniva posta indicazione ad intervento chirurgico di protesizzazione/stent di aneurisma trombizzato, previa l’effettuazione di ulteriori accertamenti in regime di pre-ospedalizzazione.
Il 18 luglio accedeva pertanto in regime di pre-ospedalizzazione con diagnosi di arteriopatia ostruttiva arti inferiori ed effettuava vari accertamenti tra cui una Angio-TC che mostrava: “Occlusione della femorale superficiale di destra al III medio con riabitazione della poplitea al III inferiore; occlusione all’origine della tibiale posteriore ed anteriore destra e stenosi della interossea destra; mancata visualizzazione della pedidia e della arcata plantare destra”.
Il 16 agosto veniva ricoverato per essere sottoposto ad intervento chirurgico programmato. Alle ore 09:20 veniva effettuato l’accesso in reparto e veniva annotato in cartella clinica: “Condizioni generali buone. Si ricovera in data odierna per intervento chirurgico. Si informa il Paziente sui rischi e benefici della procedura: si firma il consenso informato”.
La dichiarazione di consenso firmata dopo colloquio con il medico esponeva come patologia “aneurisma arteria poplitea destra”, consenso ad essere sottoposto ad intervento di “esclusione endoprotesica/bypass”.
Dalla descrizione dell’intervento si estrapola quanto segue: “Preparazione chirurgica di minima della femorale comune destra […] Arteriografia diagnostica che conferma il reperto Angio-TC di aneurisma femoro-popliteo trombizzato con ostruzione al III medio-inferiore dell’arteria femorale superficiale e riabitazione a livello popliteo sottoarticolare pretriforcazione di gamba, ricanalizzazione intraluminale […] posizionamento di 3 endoprotesi Gore Viabahn […] fino ad escludere completamente l’aneurisma ed ottenendo un buon flusso femoro-popliteo al controllo finale con rappresentazione dei vasi di gamba all’origine.”
Il 20 agosto veniva dimesso con diagnosi di “ischemia critica arto inferiore destro da aneurisma popliteo trombizzato” e veniva consigliato di effettuare follow-up di chirurgia vascolare per la prosecuzione dell’iter diagnostico-terapeutico dell’aneurisma popliteo controlaterale.
II Struttura Ospedaliera:
Il 20 dicembre del 2013 accedeva presso il pronto soccorso per la presenza di un’ulcera plantare insorta in sede di pregressa asportazione verrucosa e in attuale terapia antibiotica con Ciproxin; veniva richiesta una consulenza chirurgica che si riporta integralmente: “Ulcera plantare da pregressa asportazione verrucosa presso ospedale africano. Attualmente in trattamento orale con Ciproxin cp e Codex pomata locale. Regione plantare dolorabile, modico arrossamento cutaneo. Dal tramite ulceroso si drena modesta quantità di liquido siero-purulento. Medicazione con Amuchina e Betadine. Zaffo iodoformico. Controllo ambulatoriale giovedì p.v.”
Veniva quindi dimesso con diagnosi di “ulcera piede destro” prognosi di 5 giorni e prescrizione di antibiotici ed antidolorifici e di controllo angiologico.
L’11 dicembre si sottoponeva a visita angiologica con Ecocolordoppler che evidenziava un quadro di ischemia critica d’arto e ponevano indicazione a ricovero per arteriografia e valutazione chirurgica vascolare.
Veniva pertanto inviato presso il pronto soccorso dove, il giorno successivo, veniva sottoposto ad Arteriografia che mostrava: “Chiuso lo stent sulla femorale superficiale, nessuna riabitazione della femorale superficiale e della poplitea, la circolazione è sostenuta da vasi collaterali della femorale profonda. Anche distalmente la circolazione è molto povera e l’interossea è l’unico vaso portante. Non ci sono margini per manovre interventistiche”.
Quindi veniva sottoposto a consulenza di Chirurgia Vascolare; lo specialista, presa visione dell’esame angiografico non poneva indicazione ad intervento chirurgico di rivascolarizzazione e consigliava terapia medica con Endoprost in infusione.
Il 14 veniva effettuata un’ulteriore consulenza di Chirurgia Vascolare nel corso della quale veniva ribadita la non indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica.
Fino al giorno 17 rimaneva in pronto soccorso in attesa di posto letto. Non veniva eseguita la terapia vasoattiva indicata dal Chirurgo Vascolare per indisponibilità del farmaco (Endoprost) in PS e veniva eseguita terapia eparinica, emoreologica (Trental) e antidolorifica.
Quindi veniva ricoverato presso il reparto di Medicina e successivamente veniva trasferito presso il reparto di Angiologia.
All’atto del ricovero all’esame obiettivo veniva esclusivamente annotato: “cianosi alluce sn (?)”.
Tra il 18 e il 30.12.2013 rimaneva ricoverato e veniva sottoposto a ciclo di terapia vasoattiva con prostanoidi. Dal diario clinico delle giornate 19, 20 e 21 non emergono rilievi specifici riguardanti l’ischemia dell’arto (situazione definita stazionaria o stabile), mentre in data 22 dicembre è riportato l’esito di un Doppler CW (in assenza di tracciati riportati in cartella) che descrive: “Discreto flusso riabitativo a livello tibiale posteriore e pedidia destra”. Sino al 25 dicembre non vi sono rilievi clinici riguardanti l’evoluzione dell’ischemia mentre in data 26 dicembre si legge “condizioni stazionarie, riferisce dolenzia all’avampiede”. In data 27 dicembre “situazione stabile”. In data 28 dicembre “condizioni generali discrete, riferisce diminuzione del dolore seppure mantiene l’arto in declività” Infine in data 29 dicembre “Situazione stabile, scarso dolore spontaneo al piede destro. In progressione la demarcazione necrotica digitale del I, II e V dito”.
In data 30.12.2013 veniva dimesso in regime protetto; nella lettera di dimissione si riportano alcuni passi rilevanti: “Ricovero per ischemia critica arto inferiore destro dopo chiusura di stent femoro-popliteo. Il paziente era giunto in pronto soccorso e aveva effettuato consulenza chirurgico vascolare che aveva escluso possibilità di rivascolarizzazione chirurgica. Al ricovero il paziente presentava quadro di eritrosi del dorso piede destro e cianosi ischemica delle prime due dita. La terapia con Endoprost, ben tollerata dal paziente è stata sospesa in data odierna. Si è ottenuta netta riduzione della sintomatologia dolorosa locale, della lesione plantare e della eritrosi del piede. Marginalizzata e periferica la lesione cianotica digitale anche se di aspetto necrotico pulpare del I, II e V dito.”
Il sig. DN. N. tornava presso il PS in data 08.01.2014 per intenso dolore locale notturno al piede destro; presentava una lesione necrotica mummificata del I e del V dito e pallore cianotico del II, III e IV dito.
Veniva richiesta una consulenza al Centro di terapia del dolore e veniva rivalutata l’Arteriografia da parte del Chirurgo vascolare che confermava la non indicazione chirurgica e la presenza di tromboangioite periferica; veniva aggiunto in terapia Deltacortene 5 mg x 2 die.
III Struttura Ospedaliera:
In data 14.01.2014 veniva sottoposto a visita specialistica che evidenziava: “necrosi secca del I e II dito con cianosi del II e III ed ipotermia dal III inferiore di gamba”, veniva effettuato Ecocolordoppler che mostrava: “Flusso riabitativo sulla tibiale anteriore” e poneva indicazione al ricovero per essere sottoposto a tentativo di salvataggio d’arto.
Veniva quindi ricoverato con diagnosi di ischemia critica dell’arto inferiore destro e in data 15.01.2014 veniva sottoposto ad Angio-TC: “A destra pervie le arterie femorali comune e profonda. Ostruzione della femorale superficiale e poplitea sede di stent. Riabitata a valle dell’origine l’arteria tibiale anteriore che presenta debole enhancement ed è visualizzata segmentariamente; ostruzione del tronco tibio-peroniero, dell’interossea e della tibiale posteriore; non visualizzata l’arcata plantare”
Il 16.01.2014 veniva effettuato l’intervento chirurgico di bypass femoro-tibiale anteriore destro in safena invertita.
Si aveva l’immediata scomparsa del dolore a riposo, dell’ipotermia del III inferiore di gamba, la progressiva scomparsa della cianosi dell’avampiede e la demarcazione delle lesioni necrotiche presenti all’atto del ricovero.
In data 28.01.2014 il sig. DN. N. veniva sottoposto ad intervento chirurgico di amputazione transmetatarsale del piede dx per gangrena ischemica dell’avampiede dx.
Il paziente, dubbioso della congruità dei trattamenti ricevuti, si rivolgeva al Nostro staff medicolegale il quale, dopo valutazione della documentazione medica, confermava la procedibilità a causa della negligenza dei sanitari vestita da grave imprudenza.
LE NOSTRE CONCLUSIONI MEDICO-LEGALI:
Il sig. DN. N. è andato incontro ad amputazione transmetatarsale come conseguenza di una serie di errori commessi da vari Sanitari nella gestione della sua malattia di base (aneurisma popliteo trombizzato).
Il primo aspetto rilevante riguarda l’indicazione certamente errata al I intervento eseguito presso la I Struttura Ospedaliera che rappresenta l’innesco del problema, seppure le sequele siano avvenute ad oltre un anno di distanza.
L’indicazione al trattamento degli aneurismi poplitei trombizzati riguarda infatti essenzialmente i quadri drammatici, immediatamente conseguenti alla trombosi acuta con ischemia gravissima dell’arto, senza o con insufficiente compenso da vasi collaterali. Tali quadri devono prevedere dolore a riposo persistente ed incoercibile, pallore o cianosi cutanea, eventualmente lesioni trofiche periferiche (cosiddetta ischemia critica) tali da configurare un rischio di perdita d’arto. Al momento del I ricovero, il sig. DN. N., non presentava alcuno di questi sintomi (come emerge chiaramente dalla analisi dei documenti clinici), ma esclusivamente una claudicatio intermittens (stadio IIb), seppure invalidante per un uomo di giovane età, ma che indicava come l’ostruzione poplitea si fosse realizzata in tempi tali da consentire un relativo compenso da parte dei circoli collaterali, compenso che avrebbe potuto ulteriormente migliorare con l’abolizione dei fattori di rischio vascolari e con l’incremento del cammino.
Un quadro di trombosi non acuta di aneurisma popliteo deve essere pertanto considerato alla stregua di un’arteriopatia obliterante cronica degli arti inferiori il cui trattamento, chirurgico o endovascolare, soprattutto se necessita di rivascolarizzazione sottopoplitea non è indicato in prima istanza per i casi “cronici” che presentano esclusivamente claudicatio e che comunque, in relazione alle risultanze Angio-TC, non poteva prevedere il trattamento endovascolare come prima scelta.
Pertanto indicazione da considerare errata e scelta della tecnica chirurgica non corretta.
Riguardo questo ultimo punto sono ben note le complicanze possibili delle procedure endovascolari e soprattutto di come il loro possibile fallimento possa condizionare negativamente le eventuali procedure di bypass di salvataggio d’arto (studio BASIL 2011). Si ritiene inoltre che di tali aspetti il paziente non fosse adeguatamente reso edotto in relazione alla schematicità del consenso informato riportato in cartella, assolutamente sommario, privo di spiegazioni specifiche e difforme da quello della Società Italiana di Chirurgia Vascolare solitamente utilizzato.
Il secondo aspetto riguarda la gestione in “emergenza” avvenuta presso la II Struttura Ospedaliera.
I Sanitari che gestirono il primo accesso in PS non identificarono il quadro ischemico dell’arto ma appuntarono la propria attenzione sulla lesione plantare conseguente ad asportazione di verruca. Peraltro la richiesta di consulenza angiologica seppure dopo dimissione dal PS ha consentito di porre diagnosi tempestiva e pertanto non si ritiene che tale errore diagnostico abbia influenzato la prognosi del paziente.
Il successivo decorso è viceversa ricco di responsabilità a vari livelli nella gestione del paziente.
L’esame angiografico eseguito in data 12.12.2013 è stato visionato da un Chirurgo Vascolare solo il giorno successivo comportando una prima dilazione temporale; non pone indicazione ad intervento chirurgico di rivascolarizzazione senza specificare se tale mancata indicazione nasca dal ritenere l’intervento non necessario sulla base del dato clinico o non eseguibile con adeguate probabilità di successo sulla base del dato angiografico o per entrambi questi aspetti.
Un secondo chirurgo vascolare chiamato in consulenza notturna il giorno successivo conferma la mancata indicazione alla rivascolarizzazione e la confermerà nuovamente ad oltre 20 giorni di distanza quando verrà chiamato ad esaminare il paziente a causa del suo aggravamento.
Anche lo stazionamento in pronto soccorso per cinque giorni in attesa di posto letto ha certamente un ruolo nell’evoluzione della storia clinica del paziente che di fatto ha iniziato la terapia vasoattiva con prostanoidi (consigliata dal I chirurgo vascolare) con cinque giorni di ritardo.
La gestione presso il Reparto di Angiologia appare approssimativa per quanto riguarda le notazioni sullo stato clinico del paziente che, nonostante la terapia medica, peggiora a tal punto da accedere al Reparto con la cianosi di un dito ed uscirne due settimane dopo con la necrosi di tre. Nel corso di questo ricovero le notazioni del diario clinico sono estremamente generiche limitate ad un solo rilievo quotidiano (al di sotto degli standard abituali della gestione ospedaliera di tre rilievi al giorno) e quasi sempre limitati alla tollerabilità della terapia vasoattiva senza una chiara monitorizzazione del quadro ischemico che evolve dalla cianosi di un dito (all’atto del ricovero) alla necrosi di tre (alla dimissione).
Appare inoltre censurabile che di fronte ad un quadro in peggioramento locale non venga richiesta una nuova consulenza chirurgica, seppure l’atteggiamento dei chirurghi vascolari che avevano già valutato il paziente appariva fermo nel non porre indicazione all’intervento.
Infine all’accesso successivo alla dimissione protetta va sottolineata negativamente la consulenza del Chirurgo Vascolare che, seppure di fronte ad un aggravamento importante con necrosi estesa e dolore a riposo incoercibile al punto di chiedere una consulenza del Centro di Terapia del Dolore locale, non prende in considerazione la possibilità di rivascolarizzazione mediante un bypass femoro-distale la cui fattibilità (ed utilità) viene dimostrata otto giorni dopo dai Sanitari della III Struttura.
Pertanto in particolare si ritiene che:
- Il quadro clinico del sig. DN. N. nel 2012, da considerare cronico ed in fase di sufficiente compenso, non sarebbe evoluto verosimilmente verso l’ischemia critica d’arto l’anno successivo in mancanza di procedura di rivascolarizzazione endovascolare;
- Il quadro di ischemia critica (da occlusione acuta delle endoprotesi posizionate nel 2012) presentato dal paziente nel dicembre 2013 sarebbe potuto essere trattato con successo prima dell’insorgenza delle lesioni trofiche mediante procedura di bypass come avvenuto presso la III Struttura con un mese di ritardo dall’iniziale diagnosi e quindi con lesioni trofiche avanzate;
- L’amputazione dell’avampiede è pertanto diretta conseguenza della dilazione temporale tra l’insorgenza della ischemia critica ed il suo effettivo trattamento.
In definitiva si ritiene che i punti di maggiore gravità che abbiano comportato l’evoluzione verso l’amputazione dell’avampiede del sig. DN. N. siano i seguenti:
- Errata indicazione all’intervento di rivascolarizzazione periferica nel 2012 (I Struttura);
- Errata scelta della tecnica di rivascolarizzazione periferica nel 2012 (I Struttura);
- Errato approccio vascolare all’insorgenza dell’ischemia critica d’arto ad opera di due chirurghi vascolari in tre circostanze complessive (dicembre 2013 – gennaio 2014) (II Struttura);
- Dilazione temporale nel trattamento medico a causa della protratta permanenza in PS (II Struttura);
- Negligente assistenza presso Reparto di Angiologia per mancata evidenziazione dell’evolutività periferica delle lesioni sino alla necrosi (II Struttura);
LE NOSTRE RICHIESTE:
- Danno totalmente e funzionalmente legato ai due fatti illeciti e dunque risarcibile per intero nella misura del 30% (trenta).
- Danno da sofferenza psicofisica (danno morale) personalizzata e commisurata anche all’attuale sofferenza fisica legata ai postumi dell’amputazione e al sovvertimento delle attività esistenziali.
- Danno patrimoniale da perdita dell’attività lavorativa e da riduzione della capacità lavorativa specifica, come anche un serio danno alla cenestesi lavorativa da valutare equitativamente.
Si è da subito proceduto ad un ricorso 696bis presso il Tribunale Civile di Roma e quindi siamo in attesa della valutazione della questione da parte di un CTU specialista medico-legale (associato ad uno specialista in chirurgia vascolare), per cui Vi terremo informati su queste pagine.
Dr. Carmelo Galipò