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Iliev nato in Bulgaria il 15 marzo 1969, autista di camion nelle cui mansioni era compreso anche il carico e scarico delle merci, fu rinvenuto cadavere all’età di 45 anni alle ore 10:00 del 10.12.2014 a Padova. Il soggetto si trovava disteso sulla carreggiata, a fianco del camion che guidava, collocato per terra dai soccorritori che non poterono fare altro che constatare il decesso
L’autopsia mostrò: a livello del torace i seguenti reperti:

Torace

Piastrone sternale indenne. Mediastino normostrutturato, aia cardiaca normoesposta, polmoni normoespansi, abbondante tessuto adiposo pericardico; all’apertura del sacco pericardico presenza di qualche cc. di liquido rossastro, all’ispezione dell’arteria polmonare fuoriuscita di abbondante sangue fluido e assenza di formazioni trombotiche. Cuore del peso di gr. 530, delle dimensioni di cm 14X13 X4 ( diametri trasverso X longitudinale X antero – posteriore); si apprezza dilatazione delle cavità ventricolari; la parete del ventricolo sinistro e il setto risultano avere uno spessore pari a cm. 1,5. All’apertura delle coronarie si osserva la presenza di alcune placche giallastre, una nel tratto iniziale del ramo circonflesso della coronaria sinistra ed altre lungo il decorso della coronaria destra. Al taglio miocardio di consistenza carnosa e di colorito brunastro, endocardio liscio e lucente; non si apprezzano calcificazioni, né ispessimenti a livello delle valvole cardiache. Polmoni del peso di gr. 950 il destro e di gr. 820 il sinistro, marcatamente congesti, di colore violaceo e con rete antracitica evidente, superficie liscia e consistenza cotonosa; al taglio e alla spremitura, fuoriuscita di liquido rossastro frammisto a sangue, soprattutto ai lobi inferiori.
Tutti gli altri reperti riscontrati nel corso dell’autopsia sono risultati privi di qualunque rilievo che potesse avere una significativa attinenza col decesso

Diagnosi Medico Legale

Insufficienza cardiaca acuta in cardiopatia dilatativa e coronarosclerosi.

Considerazioni Medico Legali

Alla luce dei dati autoptici Iliev è deceduto quindi per insufficienza cardiaca acuta in cardiopatia dilatativa e coronarosclerosi.
L’Iliev ha iniziato a lavorare nel giugno 2006 ed ha lavorato per una ditta di trasporti fino al giorno del decesso avvenuto in data 10 dicembre 2014. Orbene dall’esame delle ore di lavoro straordinarie risultanti da buste paga si evince chiaramente che le ore straordinarie di lavoro che ILIEV ha effettuato non rappresentavano affatto un evento straordinario , ma bensì rappresentavano sostanzialmente la regola. Basta osservare i dati delle ore straordinarie effettuate per rendersi conto dell’entità del problema: 865 ore conteggiate nell’anno 2006 ( tra l’altro su un arco temporale di sette mesi e non di un anno), 868 nel 2007.382,5 nel 2008, 436 nel 2009, 386,5 nel 2010, 366 nel 2011, 332 nel 2012, 256,5 nel 2013, 255,5 nel 2014, ancora una volta sull’arco di 10 mesi in quanto in luglio Iliev non ha lavorato e non considerando dicembre in quanto il 10 dicembre il paziente è deceduto. Il totale delle ore straordinarie risultanti da busta paga sono 4148 complessive.
E’ certamente impressionante notare che all’interno di alcuni mesi , anche consecutivi, Iliev ha effettuato un numero di ore straordinarie che comportavano sostanzialmente più di un raddoppio delle ore di lavoro:per esempio nel 2006 in agosto 114 ore, settembre 159,5, in ottobre 151,5, a novembre 153,5, a dicembre 158, nel 2007 a febbraio 142 ore, a marzo 171,5, ad aprile 170, a maggio 186 . Le sequenze sopracitate sono, a nostro avviso, molto significative.
Un altro dato di grande importanza va sottolineato: la quantificazione sopracitata è stata ottenuta sommando esclusivamente le ore di lavoro straordinario indicate in ogni busta paga, pertanto il risultato ottenuto non comprende le ulteriori ore di carico e scarico delle merci, forfetizzate tramite una maggiorazione dell’indennità di trasferta o retribuite dalla società datrice come “extra”.
Prima di addentrarci nella fisiopatologia della malattia da cui ILIEV era affetto, come documentata in modo inoppugnabile dall’esame autoptico, ci pare opportuno accennare ad un fenomeno che ha assunto caratteri endemici, il “Karoshi “che letteralmente significa “ morte da troppo lavoro”. E’ un fenomeno che in Giappone registra numeri elevati e comprende patologie diverse tra loro, ma tutte riconducibili allo stress di una vita lavorativa eccessivamente estenuante, come infarto, ictus, emorragia cerebrale, insufficienza cardiaca e altre. Il numero complessivo di decessi legati a malattie cerebrovascolari e cardiovascolari nella fascia di età che va dai 20 ai 60 anni si attesta in Giappone sui 35.000 all’anno e si ritiene che un terzo di questi, quindi quasi 12.000 casi all’anno sia riconducibile al fenomeno del “Karoshi.”
Tra l’altro il “karoshi” non comprende solo le morti per cause cerebrovascolari e cardiovascolari, ma comprende anche altri decessi improvvisi, per esempio quelli connessi a mancate cure mediche a causa della mancanza di tempo libero per recarsi dal medico e anche molti casi di suicidi. Alcune vittime del Karoshi sono morte per coma diabetico. disfunzione epatica grave, asma bronchiale, ulcera gastroduodenale perforata ecc.
Il primo caso di “Karoshi” fu segnalato nel 1969 , con la morte di un lavoratore di soli 29 anni , impiegato nel ramo delle spedizioni. E’stato però soltanto negli anni 90 che il fenomeno e’ stato individuato come la punta di un “iceberg” che rappresentava una grave minaccia per i lavoratori del paese. Nel 1987 il Ministero del Lavoro giapponese, anche sensibilizzato da una crescente preoccupazione dell’opinione pubblica , ha iniziato a pubblicare le prime statistiche sul Karoshi.
Evidentemente il contesto in cui è nato e si è sviluppato tale fenomeno era quello di un paese , che, uscito devastato dalla seconda guerra mondiale, era in pieno boom economico con una crescita esponenziale del livello occupazionale.
Alcune ricerche hanno dimostrato in modo incontrovertibile che che per un dipendente non sia possibile lavorare dodici o più ore al giorno, sei o sette giorni alla settimana, anno dopo anno, senza che ci sia un impatto a livello fisico e psicologico che spesso si rivela devastante. Recentemente si è scoperto che in Giappone il lavoratore medio lavora almeno due ore al giorno in più, rispetto all’orario ordinario; inoltre in alcuni casi fu dimostrato che le aziende erano al corrente del cattivo stato di salute dei loro dipendenti,
Il primo caso di “karoshi” fu chiamato “ morte improvvisa da lavoro”. Turni di lavoro estenuanti , uniti ad un aumento dei carichi di lavoro ed alle pressioni psicologiche a cui i lavoratori , spesso in una posizione di debolezza e fragilità, sono sottoposti , fu riconosciuto come causa di morte sul lavoro da parte del Ministero del Lavoro. In Giappone fu dapprima la pressione dei familiari delle vittime di Karoshi e poi l’opinione pubblica a spingere il governo a prendere in seria considerazione il problema e , soprattutto, le dimensioni del problema e ad attuare misure preventive.
Nel 1982 fu pubblicato il primo libro sull’argomento dal titolo “Karoshi”. L’approccio iniziale fu quello di studiare casi singoli cercando i tratti comuni fino a delineare un quadro patologico solo apparentemente eterogeneo che aveva però un denominatore comune rappresentato daI lunghi orari di lavoro e dallo stress ad essi legato. Fu messo in evidenza che la quasi totalità delle vittime da troppo lavoro avevano lavorato più di 3000 ore all’anno.
Nel 1988 un gruppo di Avvocati fondò il Consiglio di Difesa nazionale per le vittime del Karoshi. All’inizio degli anni 90 il problema del “Karoshi” ( o morte da troppo lavoro) cominciò a circolare anche in Occidente coinvolgendo a macchia d’olio i media e l’opinione pubblica fino ad arrivare sul tavolo della Commissione dei diritti dell’uomo alle Nazioni Unite
Nonostante l’impegno dei sindacati, di medici e accademici giapponesi che hanno sostenuto in ogni modo i familiari delle vittime del “Karoshi” ci sono voluti quasi due decenni affinché il fenomeno fosse riconosciuto nella sua gravità e diffusione diventando oggetto di misure di tutela da parte del governo. Oltre alle ore di lavoro straordinarie che diventano ordinarie hanno assunto una sempre maggiore importanza le pressioni psicologiche senza vie d’uscita a cui i lavoratori sono spesso sottoposti: dal momento che trovare una occupazione nuova è praticamente impossibile , quando si è deciso di licenziarsi volontariamente dalla precedente; molti lavoratori preferiscono accettare condizioni durissime , quali lo straordinario non pagato pur di non dovere affrontare lo spettro della disoccupazione.
Il problema degli straordinari non retribuiti è spesso legato al fatto che esso semplicemente non viene registrato al fine di non violare le normative che regolano rigidamente il numero delle ore straordinarie. Per tale motivo le Aziende suggeriscono , consigliano in modo per così dire” informale”, di non registrare tali ore. In Giappone( il fenomeno negli anni successivi si è diffuso anche in Occidente ) il lavoro straordinario viene considerato come parte integrante del lavoro stesso , vale a dire del lavoro ordinario. Poche sono le proteste ed i casi di insubordinazione perché l’assunzione di una tale posizione porterebbe, pressoché automaticamente, il lavoratore a un completo isolamento all’interno dell’azienda e a essere malvisto non solo dal proprio datore di lavoro , ma anche dai propri colleghi. In altri termini , solo apparentemente in modo paradossale , il “mobbing” è dietro l’angolo. In qualche caso limite è stato registrato che alcuni dipendenti avrebbero maturato addirittura 300 ore di lavoro straordinario in un solo mese. Va precisato che queste statistiche non sono quasi mai ufficiali , per il semplice motivo che il dipendente si astiene per prudenza , ma soprattutto per timori di ritorsioni, dal rilasciare dichiarazioni alle autorità o alla stampa.
Una grande compagnia di assicurazioni sulla vita ha preso in esame 500 lavoratori impiegati in aziende di alto livello a Tokio. Il rapporto ha svelato che il 46% di loro ha manifestato di temere una morte da troppo lavoro, e un quarto di loro ha riportato un alto grado di preoccupazione per loro da parte dei familiari.
Il Ministero della salute, del lavoro e del welfare giapponesi hanno pubblicato le statistiche relative all’anno 2007: 189 erano i lavoratori deceduti in seguito a ictus o attacco cardiaco connessi allo stress da lavoro eccessivo e circa 208 erano i lavoratori che risultavano seriamente ammalati. il dato più alto mai registrato con un incremento del 17,6% rispetto all’anno precedente.
Nel 2008 una azienda è stata condannata a pagare una cifra considerevole come indennizzo alla famiglia di un lavoratore entrato in coma.
La legislazione oggi impone alle aziende di attuare una serie di misure atte a prevenire la morte da troppo lavoro, come ad esempio un limite al numero di ore straordinarie ed inoltre l’introduzione di un esame medico da effettuare sul dipendente prima che quest’ ultimo possa affrontare lo straordinario che gli viene richiesto.
In questo senso alcune aziende hanno fatto uno sforzo per migliorare le condizioni di lavoro dei propri dipendenti. La Toyota, per esempio, ha posto un tetto a 360 ore all’anno di straordinario per i propri dipendenti , mentre Nissan ha offerto la possibilità del telelavoro, vale dire la possibilità di lavorare da casa per andare incontro alle esigenze di coloro che devono occuparsi dei figli o di genitori anziani.
Altre aziende hanno scelto altre vie, tra cui quella di aumentare il numero dei giorni senza straordinario, imponendo ai propri dipendenti di lasciare l’ufficio alle ore 17.30. In taluni casi si è però ottenuto l’effetto contrario in quanto il lavoro non smaltito durante l’orario normale , viene smaltito in ufficio a luci spente oppure da casa.
Di fatto resta innegabile che in Giappone il numero di richieste di risarcimento è nettamente al di sotto del numero di morti per troppo lavoro. Le cause vanno ricercate nell’esiguità dell’indennizzo ma anche nell’eccessivo tempo per ottenerlo.
In ogni caso l’orario di lavoro è indubitabilmente uno dei fattori principali delle morti da troppo lavoro. I turni di notte con l’ovvia alterazione dell’orologio biologico, la soppressione dei giorni di riposo , spesso anche del riposo dopo la notte di lavoro, gli orari prolungati e straordinari al limite della sopportazione fisica ( spesso sottopagati o addirittura non pagati, talvolta neanche registrati dietro le pressioni dei capi dell’azienda che altrimenti andrebbe incontro a sanzioni ) causano ogni anno centinaia di morti. Questo processo di intensificazione temporale dell’orario di lavoro va di pari passo con la pressione psicologica a cui è sottoposto il lavoratore che si autoconvince che la strada intrapresa è quella giusta per il bene dellì’azienda e anche per salvaguardare il posto di lavoro ed evitare il licenziamento. Invece spesso è soltanto una “strada senza ritorno”.
Inoltre il costo della vita in Giappone è tale che il bilancio familiare può esere mantenuto soltanto facendo ricorso al lavoro straordinario o ai turni di notte.
A tutto ciò va aggiunto lo stress legato al tragitto casa ufficio spesso caratterizzato da lunghi percorsi in mezzo al traffico caotico delle città giapponesi; ovviamente il problema assume dimensioni spaziali e, di conseguenza temporali, per i pendolari che certo non possono permettersi un appartamento nel centro di Tokio o delle maggiori città.
Gli orari di lavoro delle imprese giapponesi sono , in media , più lunghi rispetto a quelli di qualsiasi paese industrializzato. Le lotte per l’abbassamento degli orari di lavoro in paesi come la Francia e l’Inghilterra sono diventate materia per i libri di storia prima ancora che la scienza medica lanciasse degli allarmi riguardo a orari di lavoro dilatati con una “deregulation selvaggia”.
Paradossalmente anche nei paesi occidentali si è verificata una antivirtuosa inversione di tendenza con la crisi del 2007, con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, con la perdita di ruolo e la delegitimazione dei sindacati , con i lavoratori che hanno spesso sviluppato un timore o una autentica psicosi di perdere il posto di lavoro e quindi la possibilità di sostentamento della propria famiglia , con il ripristino dei lavori a tempo determinato , con lo sviluppo di un lavoro “ in nero “ sottopagato e talvolta addirittura di un lavoro ” a cottimo” mascherato o nascosto. Non é un caso , e neanche una coincidenza temporale,a nostro avviso , che il dramma di Iliev si sia consumato negli anni che vanno dal giugno 2006 ai primi di dicembre del 2014 , quando si è verificato ol decesso.
In Giappone il numero di lavoratori di sesso maschile che lavorano più di 3120 ore all’anno ( in media più di sessanta ore alla settimana) è aumentato sensibilmente dai 3 milioni del 1975 ( il 15% dei lavoratori di sesso maschile ai sette milioni del 1988, pari al 24%, sempre riferendoci alla forza lavoro maschile.)
Tra l’altro parte degli osservatori del fenomeno e degli studiosi ritengono che il lavoratori giapponesi traggano grandi benefici economici dal lavoro straordinario, ma così non è in quanto il salario medio di un lavoratore giapponese , in rapporto al costo della vita, ò assai inferiore a quello degli altri paesi industrializzati.
Che le cose non siano diverse nel mondo occidentale rispetto alla realtà del Giappone anche se e’ stata rilevata con alcuni anni di ritardo è documentato da altri studi e contributi. Guy Standing per esempio nell’opera :”Precari ,la nuova classe esplosiva ( Bologna, il Mulino,2012,pag. 190) afferma quanto segue: “ Il sovraccarico di lavoro risulta nocivo per la salute. Uno studio sui suoi effetti a lungo termine, effettuato su un ampio campione di diecimila impiegati pubblici inglesi, è giunto alla conclusione che i lavoratori quotidianamente impegnati fino a 3-4 ore in più rispetto al normale orario di lavoro hanno il 60% di probabilità in più di sviluppare problemi cardiaci rispetto a quelli impegnati soltanto nelle canoniche sette ore giornaliere. Lo studio originale citato da Guy Standing è pubblicato su European Heart journal , 2010 ,XXXI, n. 14,pp1737 -1744 ad opera di Virtanen, Ferrie, Sing e altri.
Orbene , riferendoci al caso di I:S., uomo deceduto senza alcun precedente medico conosciuto e di cui abbiamo soltanto il referto autoptico che depone per “ insufficienza cardiaca acuta in cardiopatia dilatativa e coronarosclerosi”, non c’è dubbio che si sia trattato di una morte cardiaca improvvisa (MCI) : essa rappresenta una improvvisa , ma anche inattesa morte naturale ad eziologia cardiaca che si verifica in modo istantaneo in apparente assenza di sintomi, o comunque entro un’ora dalla comparsa di una sintomatologia acuta o di un rapido peggioramento delle condizioni cliniche , in individui privi di patologie note potenzialmente fatali oppure in individui con cardiopatia cronica preesistente, in cui il decesso giunge inatteso, sia per i termini di tempo, sia per la modalità.(1) Sulla scorta di questa definizione la morte cardiaca improvvisa dovrebbe essere considerata una possibile conseguenza dell’arresto cardiaco inteso come l’improvvisa perdita della funzione elettromeccanica del cuore. In questo senso va intesa la diagnosi autoptica di “insufficienza cardiaca acuta in coronarosclerosi”.
La definizione di M.C.I. presenta alcune problematiche in riferimento alla possibilità di stabilire il tempo effettivo trascorso dall’inizio dei sintomi e alla possibilità di individuazione della reale patologia sottostante .
La definizione che abbiamo fornito col limite temporale di un’ora dall’insorgenza dei sintomi è molto più restrittiva di quella formulata in precedenza in cui il limite temporale era di 24 ore. La definizione fornita rende più precisa la caratterizzazione fisiopatologica e soprattutto sottende nella stragrande maggioranza dei casi un meccanismo di origine aritmica, escludendo, tra le altre, una parte consistente delle morti aritmiche conseguenti a una insufficienza di pompa da scompenso cardiaco terminale che raramente avvengono entro un’ ora dalla insorgenza dei sintomi; in questo senso tali morti , pur improvvise , non possono essere considerate inattese sia per la modalità , sia per momento di insorgenza. Quest’ultimo non era certo il caso di ILIEV che è stato colto da morte improvvisa dopo anni di superlavoro con soltanto una parte delle ore straordinarie effettuate risultanti dalla busta paga per i motivi sopraddetti.
Ancora la definizione fortemente restrittiva che abbiamo dato di morte improvvisa ( improvvisa e inattesa entro un’ora dalla insorgenza dei sintomi) perrmette di escludere tutti gli eventi traumatici, ma anche le morti improvvise violente, come quelle da schock elettrico, annegamento , politraumatismi, le morti improvvise nei pazienti con una patologia neoplastica in fase terminale, le morti improvvise ad eziologia non cardiaca ( come quelle da insufficienza respiratoria acuta, ictus, emorragia massiva, dissezione e rottura aortica, embolia polmonare massiva, meningite fulminante, insufficienza corticosurrenale acuta , come quella che si può verificare in corso di menigococcemia o setticemia da pseudomonas.
Per quanto riguarda l’epidemiologia , un valutazione è difficile innanzitutto perche c’è una effettiva differenza di incidenza tra popolazioni a basso e alto rischio, poi per la diversità delle aree geografiche ed infine per la diversa definizione di morte improvvisa in base ai differenti studi,
Certamente è la principale causa di morte nei paesi industrializzati ed è responsabile del 60 – 70% dei decessi di origine cardiovascolare. Secondo i dati più attendibili l’incidenza complessiva di M.C.I. oscilla tra lo 0,36 e l’1,28 per mille abitanti per anno. (2,3). Nella maggior parte degli studi sono inclusi soltanto gli eventi testimoniati o I casi resuscitati dai servizi di emergenza (118); in tal modo, con tutta evidenza, l’incidenza della morte improvvisa cardiaca (MCI) nella popolazione generale appare sottostimata.
Il numero dei decessi negli Stati Uniti per morte cardiaca improvvisa è stimata tra i 300.000 e i 400.000 casi all’anno e ciò corrisponde ad una incidenza nella popolazione generale di poco superiore a un caso su 1000 per anno (1).
L’aritmia più frequentemente documentata è la fibrillazione ventricolare (75-80% dei casi) mentre le bradiaritmie contribuiscono alla morte improvvisa in una quota minore. E’ da segnalare che nel 10% dei casi la morte improvvisa avviene in assenza di malattia coronarica e di insufficienza cardiaca (4) E’ questo , a nostro avviso il caso di Iliev , in quanto la coronaroscerosi riscontrata all’autopsia era ampiamente subcritica e “ l’ insufficienza cardiaca acuta” non ere certamente il “primum movens” , ma bensì secondaria all’arresto cardiaco , vale a dire alla perdita della capacità di mantenere una valida contrazione come conseguenza dell’aritmia. Soltanto il 65% degli arresti cardiaci si svolge in presenza di testimoni; pertanto il caso di Iliev rientra nel restante 35%.
Tali dati sono confermati dallo studio sulla popolazione di Maastricht (5), in esso l’incidenza annuale è risultata pari all’1% nella fascia di età compresa tra 20 e 75 anni. In tale popolazione il 21% nel sesso maschile e il 14,5% nel sesso femminile di tutte le morti sono risultate improvvise e impreviste. L’80% degli arresti cardiaci extraospedalieri è avvenuto a domicilio e circa il 15% in strada o in ambienti pubblici ( è questo il caso di Iliev); il 40% delle M.C.I. è avvenuto in assenza di testimoni. ( ancora il caso di Iliev)
Inoltre va sottolineato che l’incidenza di morte cardiaca improvvisa mostra un particolare ritmo circadiano con una netta prevalenza tra le ore 6:00 del mattino e mezzogiorno. Tra l’altro questo picco coincide con quello osservato in altri eventi carIaci acuti , quali l’infarto miocardico e l’ischemia miocardica transitoria. Il meccanismo di questo picco non è noto, ma va rilevato che molti dei meccanismi potenzialmente coinvolti nella genesi della morte improvvisa abbiano un analogo comportamento. Nelle prime ore del mattino si ha un aumento del tono vasocostrittore coronarico, della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, delle catecolamine plasmatiche e dell’adesività piastrinica. In proposito ricordiamo che Iliev Niklay Simeonov fu rinvenuto cadavere alle ore 12:22 del 02/04/2014 a Torino in via Sansovino angolo Corso Grosseto.
Secondo i dati ISTAT le morti cardiache improvvise sarebbero comprese tra 45.00 e 57.000 per anno ( un caso ogni 1000 persone per anno) pari al 10% della mortalità complessiva e al 10% della mortalità cardiovascolare. L’incidenza della morte cardiaca improvvisa è paragonabile alla somma dei principali tumori conosciuti ed è dieci volte superiore a quella legata agli incidenti stradali.
La morte cardiaca improvvisa presenta un paradosso epidemiologico nel senso nel senso che essa non è affatto circoscritta a una popolazione selezionata di cardiopatici, ma bensì , imprevedibilmente, si estende ad una ampia popolazione con molteplici fattori di rischio coronarico ( fumo , diabete, dislipidemia , ipertensione , obesità, sedentarietà.) L’impossibilità di prevedere la morte cardiaca improvvisa nella maggior parte dei pazienti costituisce un serio problema sotto il profilo della prevenzione.In presenza di alcuni fattori di rischio, soprattutto se sono associati, numerose patologie cardiovascolari possono essere complicate dalol’insorgenza di morte cardiaca improvvisa.
Ci sono molti studi che hanno messo a fuoco le anomalie strutturali e elettrofisiologiche rilevabili in pazienti colpiti da M.C.I. Altri studi clinici e fisiopatologici hanno messo in evidenza un gruppo di fattori modulanti transitori in grado di rendere instabile una anomalia strutturale cronica, funzionando così da “trigger”.
In base al referto autoptico ILIEV era affetto da un cardiopatia dilatativa e coronaroclerosi.
La cardiomiopatia dilatativa è caratterizzata da una progressiva dilatazione delle camere cardiache associata ad assottigliamento parietale che deetrmina una compromissione preminente della funzione sistolica con caduta della frazione di eiezione del ventricolo sinistro con associata spesso una compromissione della funzione diastolica di vario grado.
Essa rappresenta il substrato di circa il 10% delle MCI nella popolazione adulta e la mortalità varia dal 10 al 50% annualmente, a seconda della gravità della patologia, a sua volta condizionata dalla entità della caduta della frazione di eiezione del ventricolo sinistro.
In una metanalisi di 14 studi comprendenti 1432 pazienti , la mortalità dopo 4 anni di follow up era del 42% con il 28% delle morti classificate come “improvvise” (5); la presenza di tachicardie ventricolari non sostenute (TVNS) in questi pazienti identifica i soggetti ad alto rischio (6) e la presenza di rientro degli impulsi lungo un fascio accessorio è una ìimportante causa di tachicardia ventricolare (7).Tuttavia nella cardiomiopatia dilatativa l’evento terminale può essere una condizione di asistolia o di dissociazione elettromeccanica, soprattutto nei pazienti in cui c’è una importante compromissione della funzione ventricolare.
Anche lo stress emotivo è un fattore predisponente e/o precipitante nell’eziopatogenesi della MCI, come suggerisce un interessante studio che mostra l’aumento significativo del numero di casi di MCI registrati durante il terremoto di Northridge ( California ) che colpì l’area di Los Angeles il 17/01/1994 alle 4:31 e che è uno dei più potenti terremoti verificatisi nelle maggiori città del Nord America .
Tuttavia altri studi che furono effettuati dopo altri disastri ambientali (terremoto di Nisquali del 2001, l’attentato terroristico al WCT del 2001, terremoto di Lona Prieta che nel 1989 colpì il territorio di San Francisco) mostrano dati discordanti che suggeriscono come lo stress possa agire da cofattore solo in presenza di una predisposizione ad eventi coronarici o di altri fattori di rischio.
Abbiamo citato questi studi soltanto per mettere in evidenza la profonda differenza che esiste tra uno stress acuto , legato a un evento eccezionale, come un terremoto , un attentato terroristico, che può agire come un cofattore e il fenomeno del Karoshi, la cosiddetta morte da superlavoro che abbiamo descritto in tutte le sue molteplici implicazioni: non c’è alcun dubbio, in base alla letteratura, che lo stress cronico del “karoshi” sia un fattore concausale nettamente più potente dello stress acuto legato a un evento eccezionale (terremoto , attaccco terroristico ecc.)
In realtà noi di ILIEV abbiamo soltanto il referto autoptico che identifica la causa della morte in una “insufficienza cardiaca acuta in cardiopatia dilatativa e coronarosclerosi”
L’unico dato che resta agli atti è il numero di ore , quello sì veramente “straordinario”, di ore di lavoro straordinario che risulta dalle buste paga. Senza tenere conto , come già evidenziato, che il risultato orttenuto non comprende le ulteriori ore di carico e scarico delle merci, forfetizzate tramite una maggiorazione dell’indennità di trasferta o retribuite dalla società datrice come “extra”.
In altri termini riteniamo di potere affermare che Iliev sia rimasto vittima del karoshi, vale a dire della morte da superlavoro, che lo stress cronico legato a orari di lavoro marcatamente dilatati, sia stato un potente fattore concausale che, con criterio di grandissima probabilità prossima alla certezza, nel contesto di una cardiomiopatia dilatativa con coronarosclerosi, ha avuto un ruolo fondamentale nel determinismo del decesso di ILIEV all’età di 43 anni.
Il Giudice ha confermato il giudizio sopra espresso ritenendo con criterio di grande probabilità che gli orari molto dilatati che portavano in certe settimane addirittura al raddoppio delle ore di lavoro, abbia avuto un ruolo concausale significativo nel determinismo del decesso.

Il caso da noi descritto offre alcuni spunti di riflessione sia al lavoratore sia ai medici legali e agli Avvocati.
*Il lavoratore deve avere consapevolezza che il lavoro straordinario è tale in quanto fuoriesce dall’ordinario; un’azienda , soprattutto ci riferiamo a quelle piccole, non può reggersi su uno straordinario sistematico;egli deve pertanto denunciare situazioni potenzialmente nocive per la sua salute , sottraendosi ai ricatti e denunciando velate minacce o pratiche di “mobbing” oggi assai diffuse, agli organismi sindacali deputati.
* i medici legali e gli avvocati debbono tenere presente che il fenomeno del “karoshi” non riguarda soltanto il Giappone , ma da almeno due decenni è approdato in Occidente; infine devono tenere presente che la morte da superlavoro ( quando esso è realmente documentato ) non riguarda soltanto la motrte cardiaca improvvisa , o pù genericamente le malattie cerebrovascolari , ma può riguardare molteplici patologie come asma bronchiale , emorragie , coma diabetico , suicidi , addirittura le malattie non diagnosticate in quanto il paziente non ha neanche il tempo per recarsi dal suo medico.

Dr. Umberto Piccone

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BIBLIOGRAFIA

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