Per il consulente tecnico sussisterebbe il nesso causale tra il decesso di una paziente di 81 anni e l’eccessiva somministrazione di un farmaco durante la degenza
Sussiste il nesso causale tra l’errata ed eccessiva somministrazione di un farmaco, che ha provocato gravi effetti collaterali e il decesso di un’anziana di 81 anni, morta nel maggio del 2018 a Ravenna. E’ quanto emerge dalla consulenza tecnica disposta nell’ambito della causa civile avviata dai familiari della donna, che chiedono un risarcimento danni di oltre 900mila euro alla clinica che l’ebbe in cura e ai medici.
Secondo la perizia, il medicinale avrebbe agito come causa scatenante dell’alterazione di un equilibrio clinico-funzionale della paziente, innescando una cascata di eventi che l’avrebbero portata al decesso e riducendo pesantemente le possibilità di sopravvivenza.
Per lo specialista medico legale incaricato di eseguire gli accertamenti post mortem, proprio la protratta somministrazione in dosi massicce del medicinale sarebbe un “lampante profilo di malpractice” e costituirebbe “una chiara colpa per negligenza”. Inoltre – riporta l’Agenzia Ansa – da parte della struttura ci sarebbe stato un incompleto e scorretto adempimento degli obblighi spettanti dal “contratto di spedalità”.
Sulla vicenda è in corso anche un processo penale per omicidio colposo, con due medici indagati che hanno chiesto il rito abbreviato e un terzo camice bianco che è invece a giudizio in rito ordinario: i familiari sono parte civile. Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dal Pubblico ministero titolare del fascicolo, i professionisti avrebbero disatteso “clamorosamente” le prescrizioni terapeutiche. Più specificamente, a fronte di un dosaggio prescritto dal medico di base di una somministrazione settimanale, nel corso della degenza la vittima avrebbe assunto il farmaco quotidianamente, per 13 giorni.
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