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Per i consulenti incaricati di esprimersi sul decesso di una paziente morta durante un intervento ortopedico non è tuttavia possibile escludere che “anche in ipotesi di condotte adeguate, il decesso avrebbe potuto comunque verificarsi”

“Assenza del monitoraggio base durante la procedura anestesiologica, mancata applicazione del monitoraggio elettrocardiografico durante la fase intraoperatoria e ritardo nel rilevamento dei dati elettrocardiografici, conseguente ritardo nell’applicazione delle procedure di intervento di rianimazione cardio-polmonare, mancato rispetto, per un periodo prolungato – oltre 90 minuti- delle raccomandazioni previste per il trattamento della fase post arresto cardiaco, in cui si è inspiegabilmente proceduto ad estubare la paziente”. E’ quanto si legge nelle conclusioni dei consulenti incaricati dalla Procura di Perugia di eseguire gli accertamenti peritali relativi al decesso di una donna di 28 anni, morta durante un intervento ortopedico all’anca lo scorso 28 gennaio, a causa di un arresto cardiaco. Gli esperti – come riferisce il Corriere dell’Umbria – avrebbe quindi ravvisato, con specifico riferimento alla clinica in cui aveva avuto luogo l’operazione, una lunga sequela di carenze nel trattamento della paziente.

I periti, inoltre, avrebbero evidenziato carenze organizzative in sala operatoria, che sarebbe stata priva di presidi idonei “ad affrontare con tempestività l’emergenza”. Ad esempio, in relazione all’utilizzo del defibrillatore, non vi sarebbero state né placche né gel.

Anche una volta trasferita in Rianimazione all’ospedale di Perugia, la paziente non avrebbe ricevuto cure adeguate. Come riporta ancora il Corriere dell’Umbria, i consulenti sottolineano che, anche in questo caso, “il trattamento deve essere valutato come insufficiente per il mancato monitoraggio del coma e dello stato neurologico e per la somministrazione inappropriata e non indicata di Intralipid al 20% a dosaggio incongruo”.

L’autopsia effettuato sul corpo della vittima ha fatto emergere che la giovane mamma era affetta da “ipertrofia patologica di muscolo papillare cardiaco”. Per gli esperti, tuttavia, non è possibile stabilire se l’arresto cardiaco sia stato causato da questa patologia; i periti non escludono “altre ipotesi patogenetiche tra cui quella di una complicanza meramente anestesiologica”, che, tuttavia, non può essere accertata a causa del “mancato monitoraggio elettrocardiografico”.

In conclusione, in riferimento al contesto penale, i consulenti – pur specificando che “uno dei fattori maggiormente influenti sull’outcome dell’arresto cardiaco è la tempestività delle procedure” – sottolineano che, nel caso concreto, “si ritiene che non vi siano elementi idonei ad affermare che i significativi discostamenti dalle regole di buona prassi anestesiologica abbiano un ruolo causale nella morte della paziente”. In altri termini, date le elevate percentuali di morte per arresto cardiaco intraoperatorio, non è possibile escludere che “anche in ipotesi di condotte adeguate, il decesso avrebbe potuto comunque verificarsi”.

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