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La famiglia ha agito in giudizio al fine di ottenere anche il ristoro del danno iure hereditatis per la sofferenza patita dal piccolo nei quattro giorni di vita prima del decesso, dovuto a una encefalopatia ipossico ischemica

Morì quattro giorni dopo la nascita per una “encefalopatia ipossico ischemica con insufficienza multiorgano e arresto cardiaco”. Una tragedia che, secondo la relazione medico-legale di parte, sarebbe correlata a un “distacco massivo di placenta che poteva essere previsto ed evitato”.

Il fatto, come riporta il Giorno, risale allo scorso anno. La mamma, alla 40esima settimana di gestazione, si era recata per una visita di controllo presso una struttura sanitaria milanese ma sarebbe stata rimandata a casa nonostante le fosse stata riscontrata presenza di proteine nelle urine (proteinuria) e pressione alta; secondo l’ipotesi accusatoria avrebbe quindi presentato gravi situazioni di rischio, tanto che alcuni giorni dopo avrebbe subito delle forti perdite liquide ed ematiche.

Riaccompagnata in ospedale dal marito era stata sottoposta a un cesareo di urgenza ma le condizioni del neonato sarebbero apparse subito critiche. Il piccolo sarebbe stato intubato e avrebbe lottato per quattro giorni prima di arrendersi, nonostante i disperati tentativi dei medici di salvargli la vita.

I genitori si sono ora rivolti al Tribunale civile chiedendo il risarcimento per la tragica scomparsa. L’istanza, oltre al cosiddetto danno parentale, è volta ad ottenere il ristoro anche per i danni iure hereditatis subiti dal neonato. Nel ricorso presentato dal loro legale, infatti, si sostiene – riferisce ancora il Giorno – che “il neonato poteva comunque istintivamente percepire, e tanto è bastato al piccolo per sentire la sofferenza propria di chi sta per morire”. Una sofferenza “innata”, legata anche al fatto che il neonato “non era farmacologicamente sedato”.

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