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L’uomo chiedeva 450 mila mila euro per la perdita della moglie, morta nel 2013 per una neoplasia ovarica diagnosticata tardivamente; il Tribunale gli ha riconosciuto 15 mila euro ritenendo che la sopravvivenza della donna sarebbe comunque stata limitata

Ammonta a 15 mila euro il risarcimento riconosciuto a titolo di danno iure proprio da anticipata perdita parentale al marito di una donna morta nel 2013 all’età di 52 anni a causa di una neoplasia ovarica diagnosticata tardivamente.

La richiesta dell’uomo all’Azienda sanitaria pisana, presso la quale la paziente era stata trattata, ammontava a circa 450 mila euro. Tuttavia, nonostante l’accertamento dell’errore medico, il Tribunale, sulla scia di una consulenza tecnica di ufficio, ha ritenuto che anche se la patologia fosse stata individuata tempestivamente, l’aspettativa di vita della vittima sarebbe comunque stata limitata. Da lì l’esiguità della somma riconosciuta.

Nello specifico, secondo quanto scritto dal Giudice nella sentenza e riportato dal Tirreno, “si deve ritenere provato l’errore medico nella mancata diagnosi del tumore di Krukenberg e ritenendo altamente probabile che, con una corretta e tempestiva diagnosi la morte, pur inevitabile, sarebbe stata ritardata di circa 8/10 mesi. Deve ritenersi provato che se fosse intervenuta la corretta diagnosi la morte non sarebbe stata evitata come esito finale della malattia, ma sarebbe comunque intervenuta successivamente (circa otto, dieci mesi dopo)”.

In altri termini, secondo i calcoli dei periti, se la diagnosi fosse intervenuta correttamente, la vittima sarebbe comunque verosimilmente deceduta ai primi di maggio del 2014, ovvero circa nove mesi dopo la scomparsa.

“In assenza di parametri di riferimento – si legge ancora nella pronuncia del Tribunale pisano – dovrà rapportarsi la liquidazione del danno alla riduzione del periodo di sopravvivenza provocata dall’errore medico, nel caso specifico 9 mesi. La ritardata diagnosi ha determinato (sempre su base probabilistica del “più probabile che non”) la perdita del rapporto con il coniuge per un periodo di circa 9 mesi – periodo che in ogni caso sarebbe stato caratterizzato, tanto per la paziente quanto per l’attore (marito, ndr) da gravi sofferenze”.

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