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Secondo l’accusa i camici bianchi avrebbero agito con negligenza e imperizia nella gestione di un paziente morto per un infarto intestinale nel 2019

Cinque medici in servizio in una struttura sanitaria del torinese sono finiti a giudizio per omicidio colposo in relazione al decesso di un paziente di 78 anni, morto per un infarto intestinale nel luglio del 2019.

L’uomo, come riferisce la Stampa, era stato ricoverato dieci giorni per un blocco intestinale, ma i camici bianchi, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero agito con “negligenza e imperizia”, omettendo i “necessari accertamenti diagnostici” e il “corretto approccio terapeutico”.

In base a quanto ricostruito, il paziente si era presentato in Pronto soccorso lamentando forti dolori all’addome, vomito e un continuo singhiozzo. Era quindi stato trasferito nel reparto di chirurgia dell’ospedale per sospetta diverticolite e, il giorno successivo, un esame radiologico aveva evidenziato la “sussistenza di un blocco intestinale”. Ciò nonostante, non sarebbero stati effettuati ulteriori accertamenti, quali una tac all’addome con mezzo di contrasto che, per il Pubblico ministero, avrebbe potuto “individuare la sede precisa della lesione e stabilire lo stadio della malattia diverticolare”.

Con il passare dei giorni le condizioni dell’uomo si erano progressivamente aggravate, anche perché, a differenza di quanto previsto dalle “linee guida sul trattamento di un paziente con occlusione intestinale”, l’alimentazione non sarebbe mai stata sospesa, così come non sarebbe stato applicato un sondino naso-gastrico e la cateterizzazione vescicale.

Secondo i periti di parte incaricati dai familiari, costituitisi nel procedimento, la gestione del paziente sarebbe stata “incompleta e insufficiente sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico”. A loro avviso se fossero state applicate le dovute misure terapeutiche previste, “è possibile affermare con ragionevole certezza” che il decesso non si sarebbe verificato.

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