La Corte di appello di Salerno ha condannato l’Azienda sanitaria locale a versare circa 450 mila euro agli eredi di una paziente affetta da epatite C per una trasfusione di sangue infetto somministratale nel 1983 in seguito a un intervento chirurgico
Nel 1983 venne sottoposta a un intervento chirurgico all’apparato urogenitale all’ospedale di Salerno. Negli anni successivi una spossatezza continua e un’astenia cronica avevano indotto la donna a nuove analisi dalle quali era emerso che la paziente era affetta da epatite C. Una infezione che, in base a successivi approfondimenti, era sta ricondotta a una trasfusione di sangue somministratale dopo l’operazione effettuata nel capoluogo di provincia campano.
La signora aveva quindi agito, tramite i figli, per ottenere l’indennizzo previsto dalla legge 210 del 1992. Nel frattempo, tuttavia, era deceduta.
In primo grado il Tribunale aveva respinto la richiesta ritenendo la domanda prescritta. Nei giorni scorsi, invece, la Corte d’Appello ha ribaltato la prima pronuncia stabilendo – come riferisce la Città di Salerno – che i termini erano scaduti solamente nei confronti del Ministero della Salute ma non nei confronti dell’ex Usl di Salerno.
Il Collegio territoriale ha, inoltre, ravvisato responsabilità in capo all’Azienda sanitaria non solo per il sangue contagiato ma anche per altri due errori medici: la trasfusione non sarebbe stata necessaria e, inoltre, non sarebbe stata avvisata la paziente della sua pericolosità, venendo meno il requisito del consenso informato. Da lì la decisione dei Giudici di riconoscere agli eredi della donna una cifra pari a circa 450 mila euro
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