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Per i periti, la ginecologa imputata, sarebbe stata chiamata a intervenire quando la piccola, morta due giorni dopo la nascita, era in ipossia da almeno tre quarti d’ora

E’ in corso a Treviso il processo che vede imputata un ginecologa accusata di omicidio colposo per il decesso di una bimba morta due giorni dopo la nascita nel giugno del 2016.

In base a quanto ricostruito la gestante, il giorno prima del parto, si sarebbe recata in ospedale lamentando forti dolori addominali; visitata nel reparto di ostetricia e ginecologia – come riporta il Corriere del Veneto – sarebbe stata tranquillizzata e rimandata a casa. Il giorno successivo, al persistere del malessere, la donna era stata ricoverata. Nel corso del travaglio, si sarebbe verificata la rottura dell’utero.

A quel punto – secondo la perizia disposta dalla Procura – in considerazione del quadro clinico si sarebbe dovuto optare subito per un taglio cesareo.

Sia il consulente del pubblico ministero che quello della difesa, tuttavia, avrebbero messo in rilievo il ritardo con cui l’ostetrica che stava seguendo il monitoraggio avrebbe avvisato il medico che la situazione stava precipitando. In particolare, la professionista sarebbe stata chiamata a intervenire quando la piccola era in ipossia da almeno tre quarti d’ora.

Il camice bianco, poi, avrebbe scelto di procedere con la ventosa ritenendo che si trattasse di un metodo più rapido di arrivare alla nascita, mentre la predisposizione della sala operatoria avrebbe richiesto almeno 30 minuti. 

Da valutare, dunque, l’esecuzione tempestiva di un parto chirurgico avrebbe potuto risparmiare alla bimba le lesioni (paralisi della parte del cervello deputata alla respirazione e alla deglutizione) risultate poi fatali.

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