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Morta dopo l’operazione all’alluce valgo: tre medici bolognesi sono stati condannati in appello.

La vicenda risale al 2 febbraio 2016 quando una donna di 75 anni fu sottoposta ad intervento chirurgico per la correzione dell’alluce valgo in una clinica privata accreditata “Nigrisoli” di Bologna ma per lei quello fu l’inizio di un calvario che si concluse con il suo decesso avvenuto a Imola il 20 luglio dello stesso anno.

La donna, come riportato da “Fanpage”, morì a causa di una infezione che si estese rapidamente fino a trasformarsi in sepsi mortale. Per la sua morte sono finiti a processo tre medici, due coinvolti direttamente nell’operazione alla donna e il terzo che si occupò, con gli altri due, del decorso post operatorio nel centro medico ortopedico emiliano. I tre si sono difesi sostenendo che la morte della paziente non poteva essere collegata all’intervento, essendo avvenuta molti mesi dopo. In primo grado il giudice aveva accolto la loro tesi e assolto tutti e tre gli imputati ritenendo l’infezione non direttamente collegata all’operazione per alluce valgo.

Una sentenza contro la quale si erano appellati sia gli avvocati della parte civile, che rappresentano marito e figlia della pensionata, sia il pm che rappresentava l’accusa. La quarta sezione penale della Corte di appello di Bologna gli ha dato ragione, stabilendo che vi è stato invece un nesso causale tra i due eventi. La decisione è arrivata dopo un processo di secondo grado lungo un anno che ha visto il giudice disporre anche una nuova perizia medico-legale. La sentenza alla fine ha condannato tutti e tre i medici a sette mesi di reclusione con pena sospesa. Gli imputati condannati anche al pagamento delle spese legali e ad una provvisionale di 150mila euro ciascuno per il marito e la figlia della donna.

Agli imputati contestato a vario titolo di non aver considerato fattori di rischio che consigliavano di rinviare l’operazione, peraltro di non certa utilità terapeutica, e di non aver prescritto poi una profilassi né pre-operatoria né dopo l’intervento, nonostante fattori di rischio quali il diabete e una insufficienza renale. Sarebbero inoltre stati sottovalutati elementi clinicamente significativi dell’infezione già in atto, per cui non fu mai prescritta una adeguata terapia antibiotica.

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