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La storia di una donna di 79 anni che per negligenza dei sanitari giunge all’exitus in pochi giorni: il consulente del giudice conferma gli errori ma sembra dare troppo peso all’età e alle comorbilità, non alle condotte mediche, tanto da concludere che queste hanno solo ridotto le possibilità di sopravvivenza.

Dopo aver raccontato la storia analizzeremo le criticità della consulenza tecnica di ufficio partendo dalle seguenti conclusioni del CTU: «In conclusione, atteso che si trattava di un soggetto di 79 anni, con grave obesità, allettata, diabetica, portatrice di B.P.C.O., ipertensione arteriosa, e in cui nella situazione che si è verificata , i 2 comportamenti negligenti hanno comportato minori chance di poter superare una così grave crisi rappresentata da uno shock con una grave insufficienza respiratoria, acidosi ipercapnica e stato febbrile».

Decorso clinico ed exitus della sig.ra P.F.

La Sig.ra F. P., di anni 79, in data 16-08-2012 veniva accompagnata al pronto soccorso degli Ospedali Riuniti a causa di una caduta accidentale avvenuta nella propria abitazione. Seguiva una diagnosi di frattura delle vertebre L1-L2 con diffusi crolli vertebrali e per tale motivo veniva ricoverata nel Reparto di Ortopedia e Traumatologia . La Diagnosi all’ingresso era: «Frattura chiusa delle vertebre lombari L1-L2 con crolli diffusi senza menzione di lesione di Midollo», in un soggetto già portatore di diabete mellito, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, obesità grave.

In data 23-08-2012, la paziente veniva trasferita presso la Casa di Cura. Nel modulo di accettazione sanitaria vengono riportate le seguenti patologie: ipertensione arteriosa, B.P.C.O., obesità grave, ipercolesterolemia, osteoporosi, crollo vertebrale L1-L2; per quanto riguarda il grado di autosufficienza la paziente necessita di assistenza totale, non si alza dal letto, e presenta catetere vescicale e pannolone (punteggio MMSE 22/30). Il 02-09-2012 , alle ore 18.00 era riportato in cartella clinica un rallentamento delle funzioni della paziente ed alle 22.00 era annotata la comparsa di uno stato febbrile (T.C. 37.4°), che alle 23.00 raggiunge i 39,4°C.

Alle 00.00 del 3-09-2012 la paziente presentava uno stato di shock ipotensivo, con stato soporoso ed insufficienza respiratoria (SaO2 95%). Tali condizioni venivano corrette con una terapia medica (Emagel, Flebocortide O2 terapia) e la paziente veniva trasferita al P.S. degli Ospedali Riuniti dove arrivava alle 00.59. Qui la paziente giungeva in condizioni gravissime in coma ipercapnico e veniva chiamato l’anestesista rianimatore . Alle ore 01.34 la Sig.ra P. veniva trasferita nel Reparto di Terapia Intensiva, intubata con successivo collegamento ad un apparecchio per la respirazione automatica; venivano effettuati esami ematochimici, emogasanalisi (pH 7,13;pCO2 115mmHg, pO2 56mmHg) ed ECG. Contemporaneamente iniziava una terapia antibiotica con il Tazidif .

In data 3-09-2012, un esame microbiologico con antibiogramma del broncoaspirato e urinocoltura era positivo per Klebsiella Pneumoniae pertanto veniva cambiata la terapia antibiotica con il Ciprosol al posto del Tazidif. Dal 9-09-2012 la paziente cominciò a manifestare uno stato febbrile con sopore che man mano esitò in un nuovo stato di shock il 13-09-2012. Pertanto veniva nuovamente cambiata la terapia antibiotica ed al posto del Ciprosol si inseriva l’Imecitin senza però un miglioramento nei giorni successivi. Infatti il 14-09-2012 le condizioni permanevano gravi, la temperatura corporea era di 38,9° e la P.A. 60/35; il 16-09-2012 la febbre arrivava a 39,2°. Il giorno successivo la situazione era invariata e la febbre arrivava a 40,2°. In data 18-09-2012, veniva effettuato un esame colturale con antibiogramma del tampone bronchiale, risultato poi positivo per Acinetobacter Baumannii complex, che era resistente a tutti gli antibiotici utilizzati fino a quel momento. Il 19-09-2012 le condizioni erano gravissime, l’Imecitin veniva sostituito con la Colistina e ciononostante la paziente si aggravava ulteriormente e giungeva al decesso il 22-09-2012.

Criticità della consulenza:

L’affermazione del ctu a termine relazione (nella risposta ai quesiti) che evidenzia che la paziente: «era praticamente allettata» sembra voler dire che malgrado ci siano stati errori medici, si trattava comunque di una paziente che sarebbe morta non tardivamente. Questo va subitamente smentito in quanto la paziente era allettata poiché aveva subito una caduta accidentale in casa, per cui prima era paziente autonoma che dopo un normale periodo di riabilitazione avrebbe ricominciato a svolgere le attività quotidiane come prima della cadute anche se forse con qualche difficoltà in più e con tute le sue patologie pre-esistenti. Quindi quella del CTU si ritiene una forzatura che disorienterebbe il Giudice e i legali dei convenuti.

Altra criticità rappresenta l’affermazione  – che l’evoluzione del quadro clinico non risulta indagata in cartella – in quanto nel diario clinico dalle 18 alle 22 non esiste traccia di assistenza alla paziente. Si è sempre aggiunto durante le operazioni peritali che tale “buco” assistenziale risale addirittura al giorno prima, quindi il fatto è ancora più grave visto che il peggioramento delle condizioni cliniche non è stato attenzionato dai sanitari. Ciò equivale a dire che una migliore assistenza avrebbe potuto verosimilmente evitare l’evoluzione drammatica dello shock. A questo proposito, evidenziandosi le carenze medicolegali del ctu non specialista medicolegale, bisogna ricordare come una causa o concausa escludente il nesso causale debba godere della caratteristica della «efficienza», altrimenti medicolegalmente e giuridicamente non ha valenza.

Nel caso della paziente P.F. affermare che non si ha certezza della sua sopravvivenza equivale a non dare una risposta al giudice in quanto nelle cause civili la regola probatoria è fondata sul criterio del “più probabile che non” ossia su un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica che il Giudice intenderà o come necessità di una prova idonea a generare il convincimento che il fatto si sia verificato o anche come semplice necessità di una probabilità maggiore del 50%. Ecco dunque cosa dovrà fare il ctu, esprimersi in queste modalità per rendere valida ed utile la sua consulenza. Se da un lato ha ben valutato il nesso di causalità materiale tra l’atto medico e la morte, dall’altro, lascia a desiderare la valutazione del nesso causale tra inadempimento e morte: definire l’inadempimento dei medici come causa di una “minor chance di sopravvivenza” non ha valenza scientifica e medicolegale in quanto inefficace. Insomma a tutte le parti in causa serve di sapere se un adeguato e tempestivo intervento medico avrebbe evitato l’evolversi drammatico dei fatti in decesso (definendo in termini percentuali le chance di sopravvivenza), ovvero avrebbe solamente allungato la vita alla paziente (e di quanto tempo). Nelle prossime settimane pubblicheremo le note critiche fatte dagli attori e le risposte del ctu. Nel frattempo se volete approfondire l’argomento trattato scaricate al seguente link la perizia medico legale degli attori e la bozza di CTU di cui si è discusso.

Dr. Carmelo Galipò

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Relazione di parte sulla persona di P. F. (decesso)

Bozza CTU P. F.

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